Legge Basevi


È la legge n. 1577 del 14 dicembre 1947 che nell’Italia democratica e repubblicana tratta del mondo cooperativo, dopo il periodo di crisi e stallo del settore col fascismo.

La legge riconosce la mutualità come cardine delle cooperative (aprendo così la strada al divieto di trasformazione delle cooperative in imprese di capitali) e introduce dei vantaggi fiscali nel rispetto di alcuni vincoli (per es. il divieto di distribuzione e capitalizzazione degli utili).

Deve il suo nome ad una delle figure più rappresentative e qualificate della cooperazione italiana, Alberto Basevi.

Sul sito www.memoriecooperative.it si legge: “La legge Basevi fu importante per due motivi principali. Innanzi tutto contribuì a fissare alcuni paletti fondamentali per lo sviluppo del movimento cooperativo italiano, incanalandolo in un percorso di progressiva crescita. In tal senso, la normativa fu capace di risolvere almeno in parte uno dei problemi strutturali delle cooperative, comune a questo genere d’impresa in quasi tutto il mondo, e cioè la sottopatrimonializzazione.

In questo caso, infatti, il divieto di distribuzione (e privatizzazione) degli utili – sostituiti dal semplice ristorno – faceva sì che gran parte degli avanzi di gestione venisse reinvestito nell’impresa, a creare anno dopo anno e bilancio dopo bilancio una riserva di liquidità che si sarebbe rivelata strategica per lo sviluppo aziendale.

Il secondo motivo per cui la legge Basevi merita di essere ricordata è la sua equidistanza dalle principali culture politiche dell’epoca. Infatti, nell’Italia di quegli anni, buona parte delle imprese cooperative si riconosceva in un orientamento marxista, o in uno cattolico, o ancora in uno liberal-democratico. E sulla base dei differenti valori espressi da queste ideologie, ogni cooperativa si organizzava in maniera autonoma, a rimarcare un preciso allineamento culturale.

Alberto Basevi, l’estensore della legge in questione, era di idee liberali, ma elaborò il testo in accordo con alcuni esponenti delle altre compagini politiche. In questa maniera, la nuova normativa non era rappresentativa di una parte sola, ma consentiva a tutti i cooperatori di riconoscersi in una visione di riferimento che poi potevano declinare sulla base delle proprie convinzioni ideologiche”.